In base agli articoli 1406 e segg. del Codice civile ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l'altra parte vi consenta (art. 1406 c.c.). Si deve trattare di un contratto a prestazioni corrispettive come lo è il contratto di lavoro, salvo nei casi di prestazioni gratuite come nei rapporti familiari o di volontariato. Inoltre il contratto deve essere ancora in corso di esecuzione.
La legge non lo dice, ma si ritiene che la cessione tra i due datori di lavoro possa essere sia onerosa che gratuita.
I contraenti possono cedere anche un contratto di collaborazione o un contratto d'opera di natura autonoma purché il collaboratore o il lavoratore autonomo diano il proprio consenso.
In generale e salvo patti contrari, il cedente dovrà trasferire al cessionario la provvista relativa alle retribuzioni maturate dal lavoratore fino alla data di cessione, e non ancora corrisposte, in particolare:
• i ratei delle mensilità aggiuntive;
• le ferie maturate e non ancora godute
• i permessi retribuiti maturati e non ancora goduti
• il TFR maturato suddiviso tra quanto rimasto in azienda (ovvero versato al fondo di tesoreria) e quanto versato al fondo previdenza complementare.
Il cessionario potrebbe però accollarsi questi oneri, compensandoli con quanto eventualmente dovuto al cedente a titolo di corrispettivo della cessione, se onerosa.
Inoltre il cedente è tenuto a garantire la validità del contratto, in caso contrario dovrà rispondere dei danni provocati dall'affidamento del cessionario.
La cessione del contratto di lavoro può essere utilizzata anche per “prestare” temporaneamente un dipendente ad un altro datore di lavoro, soprattutto nell'ambito dei gruppi di impresa, al posto del distacco, senza necessità quindi di rispettare le condizioni previste dalla legge per quest'ultimo e superando la dicotomia tipica del distacco tra titolarità del rapporto (in capo al distaccante) e gestione dello stesso (in capo al distaccatario).
Infine le parti congiuntamente alla cessione possono concordare un patto cosiddetto di retrocessione, in virtù del quale le stesse convengono di ripristinare il rapporto originario, trascorso un certo periodo di tempo. L'ipotesi può essere assimilata ad una specie di ammortizzatore sociale, quando ad esempio l'impresa cedente è in crisi ma non intende licenziare il lavoratore: lo cede ad altra impresa col patto di poterlo rioccupare una volta trascorso il periodo di crisi o riorganizzazione, con la garanzia del mantenimento della specifica professionalità del lavoratore ceduto.
L'aspetto chiave della cessione del contratto, a differenza del trasferimento di azienda, è il consenso obbligatorio del lavoratore. Benché non previsto dalla legge, è importante che il consenso risulti in forma scritta, o tramite la sottoscrizione dell'accordo di cessione oppure con separata lettera che richiami i contenuti del contratto di cessione. Senza il consenso del lavoratore non si perfeziona la cessione e il contratto è nullo. Per questo è essenziale che il lavoratore riceva informazioni corrette circa la sorte del suo trattamento economico e normativo successivo alla cessione nella quale di regola si garantisce il mantenimento delle stesse condizioni. Se così non fosse il lavoratore potrebbe impugnare l'accordo e rimettere tutto in discussione chiedendone l'annullamento, per avere dato il proprio consenso per errore o per dolo degli altri contraenti. In alternativa all'atto della cessione è possibile concordare, entro certi limiti, il cambiamento di alcune condizioni contrattuali.
Per quanto riguarda gli effetti del dissenso del lavoratore ad essere ceduto, la naturale conseguenza dovrebbe essere quella del ripristino e proseguimento del rapporto col datore cedente. L'eventuale licenziamento come risposta al dissenso, sarebbe ingiustificato in quanto ritorsivo, con obbligo di reintegrare il lavoratore, sia se soggetto alla disciplina dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori che delle tutele crescenti. Tuttavia se la cessione è stata posta in essere nell'ambito di una più generale cessione di altri contratti di lavoro, al posto di una cessione di azienda o di ramo di azienda, c'è il rischio che il posto di lavoro originario sia stato soppresso dal cedente. In questo caso, per la giurisprudenza, il datore di lavoro potrà ugualmente recedere per giustificato motivo oggettivo, dimostrando di non poter proficuamente utilizzare il lavoratore dissenziente nei residui reparti rimasti.